Se è vero che negli ultimi cinque mesi si sono consumati traumi epocali, innescati dal suicidio di Bouazizi in Tunisia e culminati con l’uccisione di bin Laden ad Abbottabad, perché tanta gente continua a discutere di Occidente e Islam con la testa rivolta all’indietro? Perché c’è chi ha bisogno di ribattere sulla continuità fra Bush e Obama, come se l’ideologia della guerra di civiltà li accomunasse quando invece uno vi è entrato, in reazione all’11 settembre, e l’altro si è dato la missione di uscirne? Perché tanta ansia di tenere vive al Qaeda e la sua minaccia, ridimensionando non solo il ruolo di Osama ma anche i colpi durissimi che la rete del terrore fondamentalista ha preso negli ultimi anni? E perché da sinistra a destra (e anche qui su Europa, il nostro amico e sempre benvenuto Franco Cardini), c’è ancora chi sa pensare all’America solo come un regime costruito sulla violenza e le falsità propalate dai suoi pennivendoli? Come minimo, è la stessa pigrizia che indusse tanti “esperti” a ritenere impossibili, perfino mentre accadevano, i rivolgimenti in Tunisia, in Egitto, e ora in Siria. Come del resto erano impensabili, via via retrocedendo, il presidente nero, la Cina superpotenza capitalista, la caduta del Muro. Invece i muri cadono, e possono anche metterci poco.
Non c’è una regia, e non c’è in corso alcun miracolo progressista. Semplicemente, America e mondo arabo, in parallelo e con tempi e modi diversi, stanno uscendo ognuno con le proprie gambe dall’incubo dell’11 settembre, dal tunnel della guerra di civiltà che s’è rivelata un peso insostenibile.
Per questo è importante capire dove può collocarsi l’Italia, in un flusso che non sarà senza contraddizioni, frenate, ricadute. Su qualcosa occorre scommettere, a qualche grande disegno occorre appendere l’agire politico. E siccome una strada solo nazionale non esiste ecco il senso ora, per un democratico, di battersi coerentemente per quello che chiamiamo il nuovo “partito americano” in Italia.
Un partito americano in Italia c’è sempre stato, dal secondo dopoguerra. Qualche volta era il partito dei liberatori e qualche volta si scriveva con la kappa. Qualche volta tramava e qualche volta varava grandi riforme. L’anomalia odierna è che non esiste più, se non in alcune frange intellettuali oltre che, naturalmente, in ogni angolo e minuto del consumo culturale di massa.
Il più grande traditore di questa costante storica è colui che s’era proposto come l’americano per eccellenza, cioè Berlusconi. E che oggi non è solo il politico europeo peggio considerato a Washington per i noti e abbondanti motivi. È soprattutto il meno dinamico, il più passivo, inevitabilmente tagliato fuori dalla modernità, come è evidente perfino nel luogo da dove aveva lanciato la propria rivoluzione: le sue televisioni.
Il nuovo partito americano cui dar vita in Italia è altra cosa dal passato. È il partito di Obama, il partito della fuoriuscita non solo dal Novecento, ma anche dalla partenza avvelenata del terzo millennio. Il partito di chi vuole vincere le guerre di civiltà, globali e domestiche, nell’unico modo possibile: non facendole, pur determinato a far valere i propri valori e a neutralizzare i propri nemici mortali.
Sono tanti i risvolti possibili di una opzione di questo tipo, dichiarata e praticata. Vorrebbe dire riconquistare uno spazio e un senso in Europa, dove Obama non riesce a trovare interlocutori strategici, non episodici (fino a giudicare il continente, anche per questo e giustamente, residuale).
Vorrebbe dire ripristinare relazioni politiche e commerciali sane e non morbose con le autocrazie orientali, con la Russia di Putin, senza le folli identificazioni personali e ideologiche di Berlusconi.
Vorrebbe dire tenere in casa un fronte aperto contro lo sterminato partito trasversale dei negazionisti, dei complottisti, contro l’antiamericanismo a prescindere che langue (ma sopravvive) a sinistra, mentre prospera in una destra localista, egoista, no-global, anacronisticamente protezionista.
Vorrebbe dire, infine, assumere anche sulle policies interne, comprese quelle bioetiche, l’approccio pragmatico dell’amministrazione americana, che si dà come bussola la convergenza e mai la divisione.
Si dirà che sono vasti programmi, che non tengono conto della realtà italiana, incatenata ancora al macigno berlusconiano. Vero, nulla ha senso senza la previa rimozione del macigno. Ma la scelta della propria identità e del proprio ruolo nazionale non sarà estranea a come si uscirà dal berlusconismo.
E non vorremmo proprio uscirne dalla parte sbagliata.